Premessa: come, quando e soprattutto perché.
Un trekking in Nepal non è una passeggiata.
Troverete sulle Alpi o sugli Appennini moltissimi sentieri sicuramente più
impegnativi, per difficoltà, dislivello e difficoltà di orientamento.
In Nepal (parlo naturalmente delle aree più famose, quelle dove tipicamente
si fa la prima esperienza himalayana) è difficile camminare per più di due
ore senza incontrare un lodge o una tea-house, i sentieri sono tipicamente
ben battuti e ben segnalati: del resto ancora svolgono la funzione
originaria di via di comunicazione per persone e merci.
Eppure non è una passeggiata: ogni anno qualche trekker troppo imprudente ci
lascia le penne, e molti sono costretti a rientrare a casa in anticipo.
Il problema è l’altitudine: il trek del Khumbu (la valle glaciale ai piedi
di tre 8000 – Everest, Lhotse e Cho Oyu) parte per quasi tutti gli
escursionisti dall’aeroporto di Lukla, a quota 2800 metri, per arrivare se
tutto va come deve a circa 5400 metri (Khala Pattar o Gokyo Ri).
Si può quindi facilmente arrivare ad essere un buon mezzo chilometro più in
alto della vetta del Monte Bianco.
A queste quote il mal di montagna acuto (AMS, Acute Mountain Sickness) è un
rischio reale e potenzialmente letale: anche senza fare gli allarmisti è
bene saperlo e regolarsi di conseguenza.
Troverete in Rete e sulle guide moltissime notizie sull’AMS, per cui non mi
dilungo: sappiate comunque che l’unica terapia sicuramente efficace contro
l’AMS è la pazienza prima – più lentamente si sale meno rischi si corrono –
e la fretta poi – se si è colpiti prima si scende meglio è.
L’attrezzatura necessaria non è nulla di trascendentale: un sacco a
pelo adeguato (può bastare una temperatura comfort 0°C), vestiario da
montagna (pantaloni pesanti e leggeri, pile, giaccavento in goretex,
scarponi da trekking ben collaudati, berretto, guanti, calzettoni eccetera),
bastoncini estensibili. Insomma le stesse cose che portereste per un trek
estivo ad alta quota sulle Alpi.
Niente tenda, piccozza, ramponi, corda. Non dimenticate invece una buona
lampada frontale (magari a LED), le ghette ed una piccola farmacia.
Io mi sono portato due zaini: un 70 litri che poi ho appioppato alla guida,
ed un 50 litri che ho usato io.
L’acqua, sia in montagna che in città, non è potabile per gli
occidentali.
Per bere si può ricorrere all’acqua minerale in bottiglia, o all’acqua
bollita in loco. Entrambe queste soluzioni sono però ecologicamente poco
sostenibili, per i problemi di smaltimento delle bottiglie vuote e di
disboscamento per procurare legna da ardere.
Il mio consiglio è quindi quello di disinfettare l’acqua con pastiglie di
iodio che troverete facilmente sia a Kathmandu che a Lukla o a Namche.
Il colore giallastro è poco invitante, è vero, ed ancora meno lo è il sapore
di iodio, ma ci si fa l’abitudine. Io ho adottato il “trucco” di sciogliere
un caramella Fisherman’s Friend per bottiglia, per coprire il saporaccio. Se
come me userete una caramella senza zucchero potrete usare questa indegna
mistura anche per lavare i denti!
Il periodo “classico” per il trekking in Himalaya è quello tra
Ottobre e Novembre, quando le giornate solo ancora ragionevolmente calde, i
sentieri sono liberi dalla neve, ed il monsone è ormai un ricordo. Purtroppo
in questo periodo i sentieri principali si trasformano in lenti serpentoni
di turisti sgomitanti, guide improvvisate e yak innervositi. Moltissimi
lodge sono al completo per le prenotazioni dei viaggi organizzati, e basta
un “piccolo” contrattempo (un frana su un sentiero ad esempio) per provocare
affollamenti degni delle peggiori metropoli.
Per questo io ho deciso di andare in Marzo, nella stagione pre-monsonica:
col senno di poi (e soprattutto avendo in mente non solo le montagne ma
anche il Nepal di bassa quota) sarebbe stato meglio aspettare qualche
settimana per togliere un pò di neve dai sentieri e vedere le famose
fioriture dei boschi di rododendri.
Io durante il mio viaggio auto-disorganizzato ho fatto ricorso ad una guida
(o meglio ad un portatore-guida), per molteplici ragioni.
In primis la sicurezza: la regola base della montagna, di qualsiasi
montagna, è “mai da soli” ed a maggior ragione vale in Himalaya dove tutto è
diverso da ciò cui siamo abituati.
Poi la possibilità di affibbiare ad un altro buona parte del carico del
nostro zaino è tutt’altro che disprezzabile: si può essere in forma quanto
si vuole, ma se si hanno problemi di acclimatazione alle alte quote uno
zaino pesante può voler dire essere obbligati a scendere, mentre con uno
leggero magari si può salvare il viaggio.
Infine i motivi “culturali”: un paio di settimane a stretto contatto con un
nepalese aiutano moltissimo a comprendere in maniera leggermente meno
superficiale questo straordinario Paese, e last but not least assumere una
guida vi permetterà di fornire ad una persona un paio di settimane di lavoro
onesto e gratificante, oltre che molto ben retribuito per gli standard
locali.
Il tutto potrebbe costarvi da 8 a 15 Euro al giorno, che in Nepal sono una
cifra di tutto rispetto, ma che da noi pagano più o meno un biglietto del
cinema.
l'agenzia a cui mi sono affidato è la Asahi Treks. Mi
fareste un piacere se chiedete a Fanindra di viaggiare con la mia guida
Yadab Itani, che pochi giorni fa mi ha scritto lamentando di essere in
cattive acque a causa della scarsità di clienti.
E' una guida molto seria, attenta e scrupolosa (e conosce un sacco di giochi
di carte in caso di cattivo tempo...) ;-). Questi sono i siti internet
dell'agenzia:
www.asahitreks.com
www.nepalhimalayatrekking.com |