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S i n g a p o r e Ho volato con la KLM da Milano ad Amsterdam e da lì
a Singapore. |
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Verso Melaka (o M a l a c c a) I controlli sono una cosa abbastanza veloce, una strada
costeggiata da una fitta vegetazione a palme è la costante
del paesaggio malese. Ci si ferma solo per cenare ad una specie di
autogrill. Dormicchio mentre fuori c’ è una fitta pioggia.
Si arriva a Melaka e la prima impressione è quella che si tratta
di una città più che coloniale moderna. La stazione
di bus è collocata nelle vicinanze del Senter, un grande
centro commerciale. |
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M e l a k a Una cittadina piccola con la sua Little India e Chinatown (suddivisione
in aree che si incontra in tutta la Malesia) e qualche testimonianza
coloniale europea. Qualche chiesa e la collina con i resti di S.
Paul church dove c’ è una statua di Francesco Saverio.
C’ è poco altro da vedere, tipo i musei, ormai chiusi a quell’
ora. A chinatown c’ è un simpatico mercato notturno, vi faccio
un giro dopo mangiato ma sulla strada del rientro mi fermo a bevicchiare
qualcosa in un locale dove un gruppo di giapani è al karaoke.
Me ne vado a dormire. Alla mattina partirò per Kuala Lumpur
detta anche KL. K u a l a L u m p u r Il bus si ferma alla stazione di Puduraya, chinatown è lì
attaccata. Entro nel primo hotel appena fuori del quartiere : Dragon
Inn. La camera a due letti è claustrofobica ma pulita.
Dopo la doccia mi fiondo a Chinatown dove ci sono un tempio induista
e uno taoista. Le foto di dovere e poi alle Petronas Towers.
Bisogna ammettere che la sensazione di slancio verticale che si prova
ai piedi delle torri è notevole. Mi sono girato un po’ gli
interni senza acquistare nulla. Ho tentato di fare qualche foto sotto
la pioggia ma il giorno dopo la fotograferò da un altro viale.
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Bazzico la deserta chinatown salutato dallo scaracchiare e sputare
a terra di qualche vecchio cinese.
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A Georgetown (Penang) Appena usciti da KL: il solito ininterrotto panorama palmizio. Mi addormento sino ad Ipoh e nel primo pomeriggio il bus passa un lunghissimo ponte che collega l’ isola di Penang alla terra ferma.
Dal terminal mi faccio portare in taxi alla 75 travellers house
a Georgetown.
Quando rientriamo Mr Lo non è più alla reception, in
sua vece la notte c’ è un personaggio istrione: Martin, massaggiatore
ha studiato massaggio cinese, giapponese, thai e svedese, tiene anche
corsi e di giorno massaggia i clienti di un hotel centrale. Ci beviamo
l’ ultima birra mentre ci interroga sondando nostri eventuali vizi
e virtù. Ci tiene a metterci in guardia da fare storie compromettenti
perché <Tutta questa gente cerca vantaggi da voi perché
sanno che avete i soldi>. Ha mille esempi e storie da raccontarci
sulle disavventure degli stranieri a Penang, di clienti uomini della
guesthouse che arrivano da lui alleggeriti del passaporto alle tre
di notte dicendogli : <I lost my passport>; racconta anche storie
raccapriccianti di delinquenza locale . . . . Un gran carisma comunque
questo Martin. |
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Il Local Tour Mi sveglio per essere puntuale al Local tour (o Loco
Tour). La bellezza delle gite in minibus oltre che convengano o meno
sta nel fatto che mettono insieme gente che non c’ entra un cazzo
e per questo fanno anche ridere.
La prima tappa è il tempio birmano. I suoi buddha
bianchi nell’ “abside” rappresentano tutte le nazioni buddiste dal
Giappone all’ Afganistan. La seconda è il tempio thai dove
sta “il terzo più grande Buddha sdraiato di tutta l’ Asia”.
Dietro di questo le urne cinerarie tra cui anche quelle di un danese.
<C’ è ancora spazio> afferma Mr Ku. Un loculo costa 300
RM ed <è bene affrettarsi perché il prezzo lievita
man mano che gli spazi diminuiscono> (c ‘ è da pensarci
veramente visto quanto costa in Italia !!!! ).
Una volta scesi si mangia. Mr Ku per le sue gite è
convenzionato alla YMCA, una associazione cattolica mondiale della
gioventù. Gli chiedo <E’ cattolico ?>. Mi risponde sottovoce:
<I’ m a free thinker> (<sono un libero pensatore>).Mangiamo
su di un tavolo rotondo mentre Mr Ku da solo su tavolino. Papà
Indonesia si spazza tutto, si serve per primo a piene mani. La nonna
svedese ironizza: <E’ la mia prima volta alla YMCA> e il nonno
svedese ribatte : <il prossimo passo sarà per l’ Esercito
della Salvezza>. |
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Tappe successive sono: il
giardino botanico (veramente bello, con piante ed animali), la fabbrica
di batik (dove nessuno acquista nulla anche perché il miglior
batik a detta degli esperti è indonesiano), la farmacia cinese
(ad assaggiar biscotti), i saluti finali (auguri papà Indonesia
!) |
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Verso la Thailandia E’ un minibus prenotato dalla guesthouse che ci porta fino ad Hat
Yai e lì poi un altro autobus fino a Phuket. Diretto anche
lui a Phi Phi island c’ è un viaggiatore francese; parla un
italiano con accento albanese perché per il progetto Erasmus
a Padova ha condiviso l’ appartamento con un albanese. Viene dall’
Indonesia ma il suo viaggio è molto lungo. Mi parla molto bene
di Iran e Pakistan. In India ha acquistato un sitar che però
non suona mai. Passato il confine con un semplice modulo e timbro
ci si rende conto della forte presenza mussulmana nella Thailandia
meridionale. Ad Hat Yai attendo un’ ora per il cambio di minibus.
E’ una città grande, non ho tempo per girarla ma solo di mangiare
un kuey tiaw. |
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Phuket & Phi Phi islands Mi fermo a Patong per una notte, sono vicino a Bangla road.
Per una sera cerco un ristorante italiano con il caffè espresso.
Finisco poi la serata alla discoteca Tiger ma esco quasi subito.
Passeggio il lungo mare fino alla Haagen-daas per il gelato della
buona notte.
I segni della distruzione dello tsunami sono assenti nelle zone dove
si lavora molto. In Banglaroad alcuni ambulanti vendono VCD sullo
tsunami. Poche sono le cose che ho visto abbandonate nella loro devastazione
e quello che c’è da sistemare lo stanno sistemando. Questa
è stata l’ impressione dopo il mio breve giro molto sommario
e scontato. |
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Rientro in Malaysia Mi dirigo in direzione del litorale orientale della
Malesia ma mi toccherà passare una notte ad Hat Yai. Quelli
del biglietto mi vendono il trasporto fino a Kota Baru ma in realtà
il minibus il giorno dopo mi lascerà a piedi al confine della
Malesia. Prima di me il bus si ferma ad accompagnare davanti al loro
domicilio i trasportati. Passiamo per zone in stato di tensione da
un paio d’ anni, presidiate dall’ esercito anche con carri armati.
Kota Baru è una città islamica dell’ unica provincia
interamente amministrata dal Partito islamico. Le donne portano quasi
tutte il chador. Anche qui c’ è un museo ma nessuno si ferma
più di tanto, città come questa e Kuala Terrennganu
fungono per i visitatori da base per le fantastiche isole (che non
ho visto).
Si ha l' idea di ciò che è l' islam moderato, proprio qui nel Kelantan dove lo statuto regionale ha tentato di imporre la legge islamica su tutto il territorio non escludendo i non-mussulmani. Nonostante le intenzioni di imporre regole severe la gente non si piega più di tanto e non si verificano incidenti di sorta. Kuala Terennganu Il giorno dopo parto per Kuala Terennganu. Si respira anche qui la stessa aria malese di Kota Baru, i locali mussulmani non servono pasti fino a tarda sera. Caratteristica però la sua chinatown. Il giorno successivo farò un salto a Pulau Duyung, un' isola interna fra il mare aperto e un corso d’ acqua. C’ è una casa su quest’ isola dove fabbricano barche con metodi tradizionali. Una volta traghettato non trovavo l’ officina, sbarcato mi ero diretto a destra, in direzione di un grande impianto, un paesaggio squallido e industriale ma non appena mi dirigo verso le abitazioni per chiedere info mi imbatto in un gioiello di costruzione chiamato Fort. Una sintesi di stile Malese e Classico-occidentale; nessuno vi abita e non c’è accesso. Appare un posto pulito ma disabitato.
Chiedo indicazione sul signore delle barche ad un giovane
che mi vuole stringere la mano mentre con l ‘ altro braccio tiene
sollevato un tacchino. Mi sa indicare più o meno la direzione.
Non è stata vista con simpatia questa mia deviazione da alcuni
personaggi tra cui un agente per via forse dei lavori che lì
fanno. Finalmente poi trovo la famosa officina. La lonely planet dice:
“ i visitatori che vogliono dare una occhiata sono i benvenuti“. Col
cazzo ! sono rimasto dieci minuti dopo aver salutato e neanche un
cenno da parte dei tipi. Forse non parlavano inglese ma anche loro
non mi sono sembrati affatto felici di avere visite. |
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Verso Johor Baru E’ la Malesia più malese questa del lato est. E’ modernità
+ islam. Le città sulla costa se non interessano per le isole
interessano comunque per la gastronomia, l’ artigianato e cose simili.
E’ specie la prima di queste che mi ha trovato soddisfatto (tanto
che sono vergognosamente ingrassato). Il pesce è comunque fresco
e lo sanno cucinare in mille modi; in generale per tutta la Malesia
anche quando la cucina cinese si mischia con quella locale i risultati
sono veramente validi. Non è da meno Johor Baru in fatto di
cucina e sarà questa la prossima tappa. Una giornata di bus
praticamente. Fino al parco nazionale di Rompin la Malesia è
stata un susseguirsi di città colorate e moschee, nonché
di industrie, dopo il parco nazionale invece si respira l’ aria di
metropoli: Johor Baru, seconda in grandezza solo alla capitale. Ha
un po’ l’ aria del porto di mare, un coacervo di mondanità
e casino, di vizio e di bancarelle. Happy Deepavali Capito a Johor proprio la sera di Deepavali , la festa hindu
che celebra la luce della vittoria sul demone Ravana. Il tempio hindu
del centro è illuminato, i petardi scoppiano, “happy deepavaly”
ovunque.
J o h o r Sì ci tenevo a fare un altro giorno a Johor, non solo per
i prezzi inferiori a Singapore quanto anche per visitare il museo
reale del Sultanato di Johor (Royal Abu Bakar Museum). Di epoca pukkha
sahib è un luogo sfarzoso, con cimeli e possessi del Sultano
e famiglia. Tante belle cose provenienti anche dall’ Inghilterra. |
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Selemat Hari Raya Adil Fitri Non so esattamente cosa significa questa scritta ma
appare dovunque tanto quanto Happy Deepavali. E’ la fine del Ramadam,
lascio l’ hotel di Johor e vado in taxi alla stazione dei taxi per
Singapore. I taxisti singaporegni fanno la spola nello stretto di
Johor ; si può richiedere il mezzo in modo esclusivo o per
risparmiare si possono attendere altri clienti e poi dividere le spese. |
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Singapore (S'pore) Alloggio in Joo Chiat rd che divide Katong dal quartiere
Geylang. Zona popolata per lo più da malesi ma gestita da cinesi.
La camera non è pronta sino alle quattro del pomeriggio; poco
male, prendo la MRT a 10 minuti a piedi dall’ hotel alla stazione
di Paya Lebar.
Sul retro di questa costruzione principale c’ è
la zona commerciale. Birre che costano almeno 14 S$ per respirare
un’ aria che sa di negozi da grandi firme, ristoranti giapponesi e
simili. Nelle vicinanze del Raffles c’ è Chimes, una struttura architettonica
tipo vecchia europa. Da apprezzare la capacità di riuscire
a costruire cose in pietra e farle sembrare di plastica. Vedo di spararmi una serata un po’ più vispa e raggiungo Orchard Rd. Prezzi da capogiro e allocchi che amano spendere per una griffe “originale” (mentre gran parte del resto dell' Asia vanifica questa idiozia di pagare una borsetta o un paio di scarpe centinaia di euro). Sembra di essere a Milano. Mi stanco presto fra shopping, bar e vialone a doppia corsia tra palazzoni. Me ne torno in zona hotel e mi accascio presto, domani sarà l’ ultimo giorno a S’pore.
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Al Changi Airport Dopo il check out dall’ hotel arrivo con la MRT al Changi Airport. Passerò l’ intero pomeriggio e la sera fino alle 11 ad aspettare il mio volo per Amsterdam. Per chi subisce il fascino delle metropoli Singapore è comunque una città interessante. Non ho mai visto dei cinesi così affabili e simpatici e soprattutto chiunque sa parlare inglese. E’ un posto comodo per chi deve organizzare voli per destinazioni del sud est asiatico, a quanto pare economico quanto Bangkok per l’ acquisto dei biglietti aerei ma non per altre cose. |