Il titolo è banale, ma un viaggio tanto breve in un paese così vasto è
proprio solo un passaggio.
Alcuni mi hanno chiesto “perché proprio in India?” , dato che tra le mete di
viaggio sognate non era ai primissimi posti. E’ stato per caso, ero
all’agenzia a farmi fare un preventivo per New York, ma io, da persona
insieme curiosa e indecisa, con un orecchio ascoltavo l’impiegato, e con gli
occhi vagavo per i vari opuscoli esposti. Uscendo, insieme al foglio del
preventivo, presi un depliant: Kerala, India del Sud. Gli ho dato
un’occhiata, e da quel momento l’idea ha cominciato a girarmi per la mente.
Ho cercato su Internet tutte le informazioni, scoprendo esserci un sacco di
siti sul turismo in Kerala, “God’s own country” , come lo chiamano loro.
Quindi, tra vari dubbi e perplessità (però a NY fa freddo, c’è già la
neve….ma nove giorni incluso il viaggio sono pochi per l’India…) alla fine
si decide, prenoto e organizzo tutto, destinazione Trivandrum (nome
originale Thiruvananthapuram).
Il giorno della partenza l’emozione è sempre la stessa, mi sento in viaggio
già uscendo da casa con le valigie. Arrivo all’aeroporto con un certo
anticipo, poi finalmente l’imbarco, volo Kuwait Airways Roma-Kuwait
City-Trivandrum. Come sempre, sulle piste di Fiumicino c’è traffico, ma dopo
circa mezz’ora decolliamo. Adoro il momento del decollo, quando l’aereo
prende velocità e all’improvviso si stacca da terra, sento l’adrenalina
circolare dappertutto.
Il volo procede tranquillo, man mano che cambia il fuso si fa buio, e verso
sera atterriamo a Kuwait City. Fa uno strano effetto, sulle piste ci sono
aerei militari di Stati Uniti e Canada, è inevitabile pensare che a
pochissimi chilometri da lì c’è la guerra.
Sostiamo circa due ore, l’aeroporto è pulito e moderno, asettico ma
tranquillo; da buoni Italiani facciamo scorta di sigarette e attendiamo il
prossimo volo.
E’ notte, ma non dormo pensando che sto per arrivare in un paese tanto
speciale. Nel buio della notte riesco solo a vedere un violento temporale in
lontananza, poi il cielo comincia a schiarire, e la linea della costa appare
ai miei occhi, prima sfumata, poi sempre più nitida. Mentre l’aereo si
abbassa, la prima immagine che mi colpisce è un’immensa, sterminata distesa
di palme, verdissime, di ogni tipo, la stessa pista è un nastro tra le
palme.
Scesa a terra, mi trovo subito immersa nel calore umido e afoso tipicamente
tropicale, ma non fastidioso, non per me.
Entrando nell’aerostazione, un pensiero immediato: “ecco, questo è il terzo
mondo”. Forse non proprio il terzo, forse è il secondo, non so, ma la
sensazione è netta. Le formalità doganali in India sono così complesse che
la burocrazia italiana in confronto è una barzelletta. Passiamo circa cinque
controlli diversi, e ci mettono sui passaporti non so quanti timbri. Poi
finalmente l’uscita, e lì ho l’impressione di essere stata catapultata in un
film.
L’esterno di un aeroporto indiano è esattamente come ci si aspetta che sia:
è l’alba, ma centinaia di persone vocianti sono tutte lì ad attendere chissà
chi; giovani, anziani, storpi, scalzi, tutti uomini, e piove.
Riconosco due giovani con un cartello col mio nome e salgo sull’auto che mi
porterà in albergo.
Sono circa 20km tra Trivandrum (capitale del Kerala) e Kovalam, località sul
mare.
In questo breve tragitto guardo fuori dal finestrino e cerco di registrare
tutto ciò che vedo. Lungo le strade si alternano ville lussuose e nuovissime
(poche) e casupole di cemento, piccole o piccolissime, molte con una
finestra aperta sulla strada, con in mostra semplici mercanzie, destinate
non certo ai turisti: qualche pacchetto di sigarette, bottiglie di acqua o
bibite varie, un casco di banane.
E poi, ai margini delle strade, l’immagine che mi accompagnerà per tutto il
viaggio, e che non dimenticherò. Dovunque, sotto piccoli ripari fatti di
foglie di palma intrecciate, donne, giovani giovanissime e vecchie,
accovacciate a terra per ore e ore, a spaccare delle piccole pietre in parti
ancora più piccole, con un arnese rudimentale. Al tramonto, gli uomini al
ritorno dal lavoro le raggiungono e collaborano, rompendo i massi più grandi
in pezzi che verranno poi lavorati dalle donne. Mi è stato spiegato che il
governo vende a queste famiglie povere i massi grandi a prezzi irrisori, e
ricompra poi loro i “sassolini” a prezzo più alto, per farci le basi dei
marciapiedi, delle strade e delle case.
Si, il primo impatto con l’India è decisamente forte,e un po’ per la
stanchezza del viaggio e la confusione del fuso orario, un po’ per la
giornata piovosa, resto leggermente sconcertata, ma so che è un’impressione
passeggera.
Dopo qualche ora di riposo, mi avventuro alla scoperta di Kovalam Beach. Gli
spostamenti non sono un problema, ovunque ci sono i Tuk-tuk, una specie di
Ape con il sedile dietro, che fungono da taxi, basta contrattare il prezzo
in anticipo.
Kovalam è una località sul mare, è considerata turistica, ma non ha
assolutamente niente a che vedere con ciò che abitualmente reputiamo
“turistico”. Qui non ci sono villaggi o Club Med, non ci sono McDonald’s, né
discoteche o locali notturni. Alle 22 staccano la corrente, e chi non ha il
generatore resta al buio fino all’alba. Non è un posto di massa, e non credo
lo diventerà, non ci sono i fondali del Mar Rosso per gli amanti delle
immersioni, né le onde adatte per fare surf, né tantomeno i divertimenti di
Ibiza o Goa. Il posto più conosciuto è un resort ayurvedico dove alla
vacanza si uniscono le terapie tradizionali indiane, fatte di massaggi e
trattamenti o cure mediche, tutto rigorosamente a base di prodotti naturali.
Il paese ha una specie di lungomare, che è in realtà un marciapiede di
cemento largo un metro, che si infanga non appena comincia a piovere. Al di
qua ci sono tutti in fila alberghi, ristoranti e negozietti di artigianato
vario, al di là c’è la spiaggia e il mare. Parte della spiaggia è destinata
alle barche e alle reti dei pescatori.
Non appena arrivati, veniamo circondati da una schiera di ambulanti che
tentano di venderci qualsiasi cosa, ma dopo vari “no, thank you” desistono.
Per rinfrancarmi un po’ dalla giornata appena trascorsa, vado a pranzo e mi
mangio un’aragosta, ottima anche se cucinata in maniera semplicissima.
Il giorno seguente cerco ancora di ambientarmi e capire cosa c’è da fare e
da vedere, passo un po’ di tempo sulla spiaggia adiacente l’albergo, ad
osservare i pescatori che tirano su le reti , in un rito collettivo che si
ripete ogni giorno allo stesso modo da chissà quanti secoli. Alla fine,
ciascuno torna a casa con il proprio sacchetto di pesce, il resto andrà ai
mercati o nei ristoranti.
Lungo la spiaggia, dalla parte opposta al paese e agli alberghi, comincia un
villaggio di pescatori che segue la costa per circa 4km, e per curiosità, e
anche per camminare un po’, attraverso da cima a fondo tutto il villaggio ,
tra la sorpresa degli abitanti. Li la povertà si può toccare con mano, gli
uomini sono a pesca, e le donne passano la giornata a sfilacciare i gusci
esterni delle noci da cocco, con i quali poi faranno delle corde che
rivenderanno, è pieno di bambini, e tutti, adulti e piccoli, sono
all’aperto, lungo il sentiero principale che si snoda per il villaggio. Le
case sono dei cubicoli di cemento, altre ancora semplici capanne di foglie
di palma intrecciate. Qualcuno cucina, qualche altro si lava di ritorno
dalla pesca, e tutti ci domandano da dove veniamo, e qual è il nostro nome.
I bambini chiedono penne per la scuola, e al primo do l’unica che possiedo.
Quello che mi colpisce è la profonda dignità di queste persone, che sono si
povere, forse poverissime, ma non è miseria, e soprattutto non c’è quel
degrado umano e sociale che è proprio invece delle grandi metropoli africane
o sudamericane. I bambini qui vanno a scuola, non mendicano, e tutti hanno
da mangiare, poco forse, riso pesce e verdure, ma c’è.
Il Kerala è uno stato a sud-ovest dell’India, sulla punta meridionale. E’
tra gli stati indiani il più alfabetizzato (il 98% circa della popolazione,
contro una media nazionale del 50%), la maggioranza della popolazione è
cattolica o musulmana, e c’è un partito comunista ancora politicamente
rilevante. Il paese vive essenzialmente di agricoltura e pesca, produce ed
esporta frutta, the e spezie, è l’India più semplice e rurale, non quella
dei grandi pellegrinaggi, delle città sacre e dei contrasti eccessivi.
Tutto ciò che vedo mi colpisce, ma non mi lascia amarezza, è povero e
semplice, ma non squallido.
Il terzo giorno sento finalmente di aver recuperato il jet-lag, e sono
pronta per andare a visitare Trivandrum, la capitale. La città è un misto di
stile Indiano e Inglese, l’influenza della colonizzazione si respira ad ogni
angolo; non c’è molto da vedere, e quel poco è chiuso per riposo o per
restauri, il traffico è naturalmente caotico, incrocio anche un paio di
manifestazioni politiche. Decido di perdermi tra negozietti e magazzini di
artigianato, compro tutto ciò che ho il tempo di acquistare e torno alla
base. In albergo ho prenotato un massaggio ayurvedico che mi rilassa
davvero, ed è molto piacevole la sensazione del ritorno dopo una giornata
nel caos della città. L’albergo è distante dal paese, su una collina in un
parco di palme e prato verde, le stanze sono dei tipici cottages keralesi, è
un posto che infonde serenità, gli ospiti sono pochi e discreti, si gode di
uno splendido tramonto con lo scroscio delle onde per sottofondo, e la sera
si può cenare a lume di candela sul bordo della piscina, pioggia
permettendo. Perché a novembre, mentre nel resto dell’India il monsone è
finito da un pezzo, in Kerala si attarda, a volte fino alla fine del mese, e
la pioggia ci accompagnerà quasi ogni giorno del viaggio.
Per i giorni seguenti ho organizzato una visita alle Backwaters. Si tratta
di una fittissima rete di canali navigabili, naturali ed artificiali, che
collegano tra loro molte città e paesi. Questi canali si possono percorrere
su delle barche tradizionali keralesi, dei lunghi scafi in legno con la
copertura fatta con foglie di palma intrecciate (qui con le foglie di palma
fanno tutto), una volta usate per la pesca, ora ad uso turistico, con una o
due cabine per i passeggeri, una per l’equipaggio, una cucina ed una
veranda.
Il luogo d’imbarco si trova in un’altra città, Alleppey, distante circa
150km da Kovalam. Partiamo la mattina presto in macchina, e percorriamo la
statale costiera che collega le due città. In India le distanze sono
totalmente relative, per percorrere questa strada ci mettiamo quattro ore,
perché, tranne per una ventina di chilometri quasi disabitati, il resto è un
susseguirsi di centri abitati e cittadine, e in India questo significa
decine di migliaia di persone tutte per la strada, in auto, bus stracolmi,
taxi e tuk-tuk, motociclette, biciclette, a piedi, gente con mucche al
guinzaglio, ciclisti con intere balle di fieno sul portapacchi della bici,
camion da trasporto, e decine di Maruti nuove, le piccole auto testimoni del
boom economico di una parte della classe media, insomma, qualsiasi cosa
possa trovarsi su una strada, qui si trova. Scampiamo miracolosamente a
30/40 incidenti frontali e verso mezzogiorno arriviamo finalmente ad
Alleppey, dove ci imbarchiamo sulla nostra “Kerala’s houseboat”.
L’equipaggio è composto da tre persone, due anziani nocchieri (è il nome più
adatto che posso dargli) e un giovane cuoco. Si parte più o meno
contemporaneamente ad altre barche come la nostra, la maggior parte degli
altri turisti sono Inglesi, o Indiani di altri stati. L’imbarcazione non è
provvista di motore, e i due anziani timonieri la guidano, uno a poppa e uno
a prua, con delle lunghe canne di bambù che immergono sul fondo del canale
per spingerla avanti. Sui canali incrociamo delle grandi imbarcazioni di
linea, che collegano le varie città , e al solito sono stipate di gente. Poi
deviamo per i canali più isolati, e li la pace è totale, sulle sponde è un
susseguirsi di palme, fiori e piccoli villaggi. Ogni tanto vediamo una donna
che sciacqua piatti e pentole, o bambini che giocano.
Sostiamo un paio di volte per il pranzo e per il tè, rigorosamente alle
cinque, e verso il tramonto la barca si ferma lungo un canale più grande, il
posto dove passeremo la notte. Un villaggio si divide tra le due sponde, e
vedo la gente al ritorno dal lavoro nei campi. Tutti, a turno, si lavano nel
fiume, e lavano i loro semplici abiti (pareo e camicia). Scendo dalla barca
per ispezionare il luogo, e in una botteguccia dove ero andata a comprare
una birra trovo anche delle carte da gioco, bene, ecco un modo per passare
la serata (per noi abituati ad attardarci la sera). Quando fa buio, viene
servita la cena, poi l’equipaggio va a dormire. Restiamo sulla veranda con
la nostra unica luce nell’oscurità totale, due chiacchiere, la birra e le
carte, e una sensazione unica, di pace e di totale isolamento, qualsiasi
cosa stia succedendo nel resto del mondo io sono lì, in mezzo a un canale,
nel nulla. In realtà la città dista solo una quindicina di chilometri, ma è
come se non ci fosse assolutamente niente tutto attorno. Solo in lontananza
si sente la voce di un muezzin che canta la preghiera, e il resto è lo
sciabordio dell’acqua e i versi di qualche animale. La notte passa un po’
scomodamente, il letto è corto, e nel sonno all’improvviso sentiamo un grido
disumano, è il cuoco, forse un brutto sogno, forse sonnambulismo, restiamo
pietrificati. Il grido si spegne in uno strano lamento, poi la voce di uno
dei timonieri sembra calmarlo, e tutto torna come prima. Al mattino si
riprende la navigazione, e dopo la colazione lentamente si fa ritorno al
punto d’imbarco. E’ una bella giornata calda e assolata, di nuovo mi immergo
nel traffico e nel caos della statale, dopo le solite quattro ore sono a
Kovalam.
Trascorro gli ultimi giorni tra massaggi ayurvedici, e mare; il tempo in
spiaggia lo passo principalmente ad osservare la gente, gli altri turisti e
i locali, che allo stesso tempo osservano noi. Gruppetti di ragazzi Indiani
guardano noi donne occidentali, con i nostri costumini striminziti, ma senza
malizia, nei loro sguardi c’è solo curiosità. L’India è un paese
tradizionalista, e piuttosto bigotto, le ragazze anche quando fanno il bagno
a mare restano vestite. Su una spiaggia c’è una chiesetta cattolica, stanno
celebrando un matrimonio, è curioso vedere gli sposi in abiti occidentali
(lei col tradizionale vestito bianco) e le invitate con le sari della festa,
fatte di splendidi tessuti.
L’ultimo giorno diluvia, ne approfitto per immergermi nello shopping, compro
di tutto, parei, borsette, bigiotteria in argento, spezie, tè di vari tipi,
sciarpe, olio da massaggio, tessuti. Si avvicina il momento del ritorno, ma
mi riesce difficile lasciare questo paese. Il caldo umido, l’odore
dell’incenso, i volti sereni della gente…
La partenza dall’India merita uno spazio a sé. Raggiungo l’aeroporto di
Trivandrum alle quattro del mattino, e già a quell’ora è pieno di gente.
Dopo aver passato i bagagli sotto un metal detector, e averci appiccicato
sopra una targhetta (si fa tutto da soli), il check-in è come ovunque, se
non fosse che le carte d’imbarco vengono compilate a mano. Poi c’è una lunga
fila per il primo controllo passaporti e il foglio immigrazione, due diversi
impiegati appongono due diversi timbri. Si passa ad un altro banco, lì un
impiegato consegna un foglio e indica di uscire fuori sulla pista, dove
bisogna riconoscere il proprio bagaglio e apporre una firma sul registro di
un altro addetto. Si torna dentro e un ennesimo impiegato assegna i posti
sull’aereo. Poi, ulteriore fila per controllo passaporti e perquisizione. La
poliziotta che controlla le donne potrebbe partorire da un momento
all’altro, ma è lì in piedi a perquisirci, con la divisa fatta a sari.
Ultima fila per controllo bagaglio a mano, e finalmente si entra nel salone
dove attendiamo l’imbarco.
Il volo fila via liscio, solo, all’atterraggio a Kuwait City, stavolta di
giorno, vedendo dall’alto quelle immense, sconfinate distese di sabbia, di
nuovo mi sembra impossibile che li sotto ci sia gente che si scanna per il
petrolio.
Torno a Roma un sabato pomeriggio di novembre, le vetrine sono già addobbate
per Natale, la gente corre e si affanna, e io mi sento così spaesata e fuori
luogo, ho ancora dentro di me i ritmi rilassati dell’India, e guardando la
gente,mi sembrano tutti un po’ pazzi.
|