Al risveglio il campeggio è
immerso in un banco di nebbia: ci muoviamo quasi a tentoni per raggiungere
il tavolo della colazione! A poco a poco, però, mentre il fornelletto scalda
l'acqua per il caffè, la visibilità va aumentando e, al momento della
partenza dal rifugio, si può quasi dire che il tempo sia bello!
La tappa di oggi non dovrebbe presentare grossi problemi. 16 km circa, tutti
tendenzialmente in piano, con un'unica, inquietante incognita: un guado
piuttosto impegnativo a cui Marco ci sta preparando psicologicamente fin
dalla partenza. Le nostre gambe, ormai abituate ai ritmi sostenuti di questi
giorni, si mettono al lavoro senza protestare.
Dopo un tratto di saliscendi dobbiamo attraversare un fiume che scorre tra
due alte pareti di roccia basaltica. L'acqua di scioglimento del ghiacciaio
si incanala in un canyon abbastanza profondo che attraversa tutta la valle,
offrendo ai nostri occhi uno spettacolo ancora nuovo. Per fortuna c'è un
ponte, ma per raggiungerlo dobbiamo calarci lungo una discesa sabbiosa
abbastanza ripida, aiutandoci con una fune.
Continuiamo a costeggiare il canyon che, in qualche punto, arriva a
profondità di tutto rispetto. A renderlo ancora più spettacolare, le colonne
di basalto che si allineano lungo le sue pareti, solenni e regolari come
canne di un enorme organo.
Mentre il cielo comincia a coprirsi lentamente, diamo fondo alle scorte
alimentari per l'ultimo pranzo da trekkers. Davanti a noi, parzialmente
coperta dalle nuvole, domina il paesaggio una grande montagna dalle cime
aguzze e irregolari. Il suo aspetto ha qualcosa di misterioso e diabolico e
la nebbia, che ogni tanto l'avvolge, le conferisce un'aria ancora più tetra.
Ma ormai le nostre energie sono tutte concentrate sul guado che si avvicina
inesorabilmente. Prima, però, ci aspetta un'ultima salita per raggiungere la
vetta della collina dalla quale Marco, scrutando il fiume, individuerà il
punto ideale per l'attraversamento. Visto da qui non sembra poi così
difficile. L'acqua, infatti, non scorre in un unico alveo, ma si ripartisce
in tanti piccoli rivoli, apparentemente poco profondi. In realtà poi,
arrivati sull'argine, ci accorgiamo che forse è il caso di ridimensionare un
attimo gli entusiasmi.
Ci sparpagliamo nella zona per fare la pipì, secondo le indicazione della
Guida: pare, infatti, che l'acqua gelata aumenti mostruosamente lo stimolo,
per cui è consigliabile farla qui per evitare di trovarsi in situazioni
imbarazzanti nel bel mezzo del guado!
Marco attraversa per primo. Si leva scarpe e pantaloni, inforca le ciabatte
e, con lo zaino sulle spalle ed in mano gli inseparabili bastoni da
trekking, affronta la potenza del fiume.
Procede lentamente, appoggiando i piedi con estrema cautela. Nel punto più
alto l'acqua gli arriva alle cosce il che, considerato quant'è alto, vuol
dire che per noi è il caso di tirare fuori le mutande di ricambio!
Per secondo passa Gianni, che ci rimette una ciabatta, travolta dall'impeto
delle acque. Poi, uno alla volta, in mutande, giacca a vento e zaino in
spalla, passiamo tutti, ognuno col suo stile, magari non sempre impeccabile,
ma evidentemente efficace, visto che non consegniamo vittime al fiume.
L'acqua è effettivamente gelida, ma siamo così concentrati a seguire le
istruzioni di Marco, che dall'altra sponda regge il capo della fune di
sicurezza con cui siamo imbracati, che in quei momenti non ci si fa neanche
tanto caso.
Il tempo di asciugarsi e rivestirsi in fretta e siamo di nuovo in cammino
per percorrere l'ultimo tratto di strada. Il paesaggio cambia ancora una
volta e, mentre inizia a cadere una pioggerellina sottile e fastidiosa, noi
scavalchiamo una collina dopo l'altra attraversando questo inedito bosco di
betulle nane (i primi alberi che vediamo in Islanda!).
Ai bordi del sentiero, un impressionante numero di funghi porcini dalle
dimensioni mai viste prima attirano subito la nostra attenzione. Iniziamo a
raccoglierli come fossero rarità, ma dopo un po' di metri, riempita la
grande busta che al povero Gianni tocca trascinarsi dietro, ci accorgiamo
che qui praticamente sono presenti come le margherite nei nostri prati e ci
concentriamo di nuovo sulla strada per la volata finale.
Nella nebbia che ci avvolge completamente arriviamo, esausti e bagnati, al
rifugio di VALAHNUKUR. Ci fermiamo qualche minuto per riprendere fiato.
All'interno della piccola struttura in legno, quattro ragazzi chiacchierano
seduti in poltrona davanti ad una pentola fumante… dopo una giornata come la
nostra questo posto mi sembra incredibilmente familiare ed accogliente.
Siamo praticamente arrivati, in lontananza si intravedono i furgoni che ci
aspettano qualche centinaio di metri più in là. Sul ponte, Barbara e Chiara
fanno da esca involontaria per la trappola che Spartaco (leggi Maurizio) e i
suoi perfidi scagnozzi (leggi Massimo e Luca) hanno preparato per noi.
Nascosti dietro le rocce, anticipano il nostro passaggio con una piccola,
scherzosa frana di benvenuto! Siamo troppo esausti per accorgercene… altri
pochi passi e saliamo a bordo dei furgoni, diretti al campeggio di BASAR
dove ci aspetta il resto del gruppo.
Siamo stanchi, ma di una stanchezza bella, di cui essere tutto sommato
orgogliosi !!!
Grazie Islanda, grazie Marco, nostra insostituibile Voce della Natura e
grazie Dimensione Avventura ....nessuno di noi dimenticherà facilmente
questi giorni!
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