Il giorno dopo lo
passiamo nuovamente a gironzolare per Antigua alla scoperta dei suoi tesori
e della sua gente.
Ma arriva l’ora di partire, e così dispiaciuti di lasciare un posto così
piacevole, ma vogliosi e avidi di approfondire la conoscenza di questo
meraviglioso paese, prendiamo un pullman per il Lago di Atitlàn.
Per fortuna durante il tragitto conosciamo una ragazza tedesca che ci
consiglia di non dormire a Panajachel, troppo piena di turisti, ma a Santa
Cruz in un alloggio spartano per pseudo – hippies con costruzioni in legno e
nessuna comodità e dal nome affascinante: l’Iguana Perdida.
Ma la cosa ci piace! Il paesino è piccolo e assolutamente sgombro da
turisti, visto che è collegato solo via barca al resto del mondo. Non c’è
luce, n’è acqua, solo la bellezza sconvolgente del lago circondato da
vulcani e da scoscese pareti verdeggianti, i colibrì che danzano
nell’aria….ma questo mi sembra anche troppo!
La prima sera la passiamo nel piccolo hotel accanto all’Iguana, L’arca di
Noè, e la cena rimarrà memorabile, penso, nella mente mia e degli altri
partecipanti. Le candele illuminano con le loro fiammelle la stanza da
pranzo proiettando delle ombre irreali, il profumo del pane appena sfornato
stuzzica il nostro appetito, la musica in sottofondo dolce e rilassante
(composta da un turista americano lì presente) mista allo sciarbodìo delle
onde del lago che si infrangono contro il piccolo pontile sbilenco aiuta il
nostro animo ad assaporare completamente quell’atmosfera sognante e quel
magico luogo.
Passiamo così tre giorni incredibili di cui uno bloccati nella totale
fissità del soffitto, visto il temporale che ci tiene bloccati senza
possibilità di fare niente, e gli altri a scoprire i paesini che si
affacciano sul lago, come San Pedro e Santiago Atitlàn dove assistiamo al
rito sincretico di Max Simòn, una statua in legno con cappellone e sigari in
bocca a cui le persone rivolgono le loro preghiere.
Stregati dal lago, con la voglia di rimanere ancora, dobbiamo però
rimetterci in cammino, destinazione Chichicastenango e il suo famoso mercato
di artesania.
Il viaggio è incredibile pieno di curve e paesaggi lussureggianti, pigiati
da donne, uomini, bambini, tacchini, e alla fine arriviamo. Nella piazza del
mercato stanno già preparando tutto per il giorno dopo, giovedì giorno di
mercato, molte persone inginocchiate offrono incenso sulla scalinata della
chiesa, e noi ci mischiamo alla gente e decidiamo di mangiare lì , tra i
banchi di alcuni comedores. Decidiamo, dunque, di salire sulla collina che
sovrasta Chichi per andare a rendere omaggio a un altro idolo sincretico
Pasqual Abaj, una pietra sopra la quale molta gente fa riti uccidendo
galline, accendendo incenso e candele, versando coca cola, pregando anche i
santi cristiani per ottenere sostegno e aiuto.
Il giorno dopo il mercato ci riporta nel caos, una vera bolgia di gente che
vende e che compra e noi ci lasciamo travolgere dalla follia degli acquisti,
economici, molto carini e pittoreschi da riportare a casa per abbellire e
rendere etniche le nostre case.
Ma la parte del mercato che più ci colpisce è il mercato coperto della
frutta e verdura, lì veniamo storditi da una mirabolante varietà di colori:
i colori dei prodotti alimentari sistemati in maniera ordinata e armoniosa
si miscelano a quelli dei vestiti di questi Maya moderni. Gira quasi la
testa. |
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