Myanmar (Birmania) |
diario di viaggio |
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03 - 02 - 2005 |
Yangon "Potevi almeno aspettarmi per salutare". Così mi scrive Mac in un sms, ma quando ho un orario all' aeroporto una miccia dietro mi si accende e dopo il breve volo da Bangkok di un' oretta il cellulare non prende più. Pur essendo ancora in un mondo dove circolano auto e non mancano i cellulari, il cellulare non prende più (e le chiamate internazionali dal fisso costano 7-8 u$ al minuto; i cellulari che prendono solo in Myanmar invece costano migliaia di euro e ce li hanno in pochissimi); i viali trafficati sono costeggiati da edifici relativamente bassi, molti dei quali in un decadente stile coloniale, nonché parchi e templi . . . quanti templi (o pagode) . . . Il più alto edificio è la Schwedagon Paya, un' altissima guglia tutta dorata davanti alla quale sfrecciamo su un taxi io, Marko (dalla Slovenia) e un canadese : John. Trovo alloggio nei pressi della Sule Paya, un chedi (chedi è un termine Thai per designare quel coso) dorato che dopo una serata a spasso con John rimango a guardare fino a mezzanotte. C' è molta India a Yangon, gente dai tratti asiatico-cinesi e gente più tipo indo-pakistana-bangladese, a volte un mix di tutto.Tutto chiude presto a Yangon, alla mezza solo una spazzina ramazza i bordi del viale del Sule Paya, spazza per poi sputare una chiazza rossa al betel. Mi butto a letto pensando a quante cose ho visto in un giorno (il primo giorno in un posto nuovo sembra sempre una eternità), un flash di susseguirsi di volti mi guida fra le braccia di Morfeo.
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04 - 02 - 2005 |
In giro per Yangon Fatta la visita alla grande paya andiamo al Bogyoge Market un mercatone in cui incontriamo per caso una signora cinquantenne che fa da guida freelance e ci invita ad un thé birmano (viene servito in una tazzina poco più grande del nostro caffé espresso, dal color caffèlatte dovuto ad un impasto zuccheroso posto sul fondo tazza. Sorseggiato questo ci si può servire ad oltranza in altre tazzine di thé cinese). Come una madre la signora ci accompagna ad acquistare i biglietti, ci aiuta ad attraversare la strada, a cambiare il cash e non vuole una mancia perché fa tutto questo aspettandosi la medesima ospitalità nella sua prossima vita. E' una questione di Kamma (karma). Per le strade centrali di Yangon la vita è animata, tanta gente seduta nelle tea-houses (tavolini con sedie per nani sulle quali la gente tazza e conversa), facce di indiani, arabi, pochi occidentali, tanti volti birmani spesso colorati di bianco con il tannaka; si impiastrano il viso di quella cosa ricavata dal tronco di un albero di consistenza pastosa come protezione. Certe donne e bambine hanno quasi dei tratti diabolici quando accostano a questa colorazione il nero sugli occhi e il rossetto rosso. E' una estetica pazza degna di una copertina dei Jane's Addiction. Quasi tutti gli uomini non indossano pantaloni ma un longy, una comoda gonna. Le sigarette tradizionali sono dei sigarelli tipo beedies indiani ma più grossi. Possono stancare ma un tiro ogni tanto può sostituire le dannate sigarette e si gettano a terra (il filtro è in cartone). Faccio serata con Marko, reduce da un partitino a calcio coi bambini sulla strada. Ci tracanniamo qualche birretta. Mi devo alzare presto comunque, devo andare a Mandalay.
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05 - 02 - 2005 |
Sul Mandalay Express Il biglietto mi è costato 45 U$ (una cifra spropositata in Birmania) e inoltre due scarpinate alla stazione. E' ancora buio quando mi ci dirigo, c'è già gente che cammina nelle tenebre, due militari di guardia sui due marciapiedi del ponte si danno un segnale (con il verso che facciamo per chiamare i gatti, btchh . . . btchh . . .; in Myanmar lo si fa spesso per richiamare l' attenzione anche di chi non si conosce o del cameriere). Il tizio dietro lo sportello masticando un boccone mi elenca con un fare militare tutti gli orari del treno e mi annuncia che devo tornare alle 7 (due ore più tardi) perchè ora non c' è l' ufficiale che mi deve prendere anche i dati dal passaporto. La partenza poi sarà nel pomeriggio. Un' attesa snervante specie dopo il check out a mezzogiorno e tutti i rompicoglioni che venivano ad importunarmi per cambiare il cash o vendermi chissà cosa mentre io prendevo solo del gran caldo col mio zainaccio. L' ultima ora di attesa alla stazione passa veloce e finalmente è pronto il Mandalay Express. Sedile largo e reclinabile, vecchiotto e con meccaniche in legno o quasi; mi ritrovo davanti un monaco e alla mia sinistra separati dal corridoietto una coppia di Birmani ora cittadini degli States. Ostentano un certo rilassato distacco dai locali; quando il monaco scatarra e sputa giù dal finestrino l' espatriato mi guarda cercando in me un disappunto analogo al suo ma non trovandolo. Lei stronzamente una volta decide di non pagare esattamente la cifra voluta da uno che gli aveva portato dei noodles dal finestrino e lo fa correre in vano per un centinaio di metri mentre il treno riparte. Per tutto il viaggio, finchè è durata la luce, ho passato il tempo a guardare fuori i paesaggi di campagna punteggiati qua e là dal cono ribaltato di una paya, scene bucoliche e tanti <ciao> sbracciati in direzione del treno. Al passaggio del vivandiere che vende ogni porcheria mi scolo una Myanmar beer con la cannuccia. Con la cannuccia per forza perché il treno si muove a sbalzi sia in avanti-indietro che lateralmente. Si può fumare tranquillamente nello scompartimento fra carrozza e carrozza dove progressivamente una macchia d' acqua originatasi sul soffitto del cesso si espande anche al di fuori creando così una sorta di doccia perenne. Collasso in un sonno agitato dalle scosse del treno e quando mi risveglio (per poi non riuscire più a dormire) tutti stanno dormendo ciondolando, costretti a movenze quasi oscene dallo sballottare del convoglio.
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06 - 02 - 2005 |
Mandalay
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07 - 02 - 2005 |
Mandalay A Mandalay il tour comincia a bordo di un taxi-madza, ce ne sono parecchi, davanti musetto di macchina e dietro gabbietta con sedili. Li ha regalati il Giappone nel dopoguerra per ripagare dell' occupazione. Il tour canonico comprende il Budda . . . le officine artigianali adiacenti (molte delle quali ho voluto saltare), Mandalay hill e i complessi dell' area. Il Budda dorato è posto in un monastero e il suo spessore aumenta nel tempo a causa delle foglie d'oro che i visitatori applicano. Ho aquistato 10 sottilissime foglie a 1000 K presso l' officina e appena entrato nell' edificio un monaco mi si avvicina e comincia a guidarmi. Dopo un po' mi chiede una "donation for Buddha", 3000 k e torna con un sacchetto di acqua mista ad oro suggerendomi di applicarla sul viso ogni mattina per "good luck" (è l' acqua che si deposita sotto la statua ogni mattina quando alle quattro i monaci la lavano). Nel monastero sono collocate anche delle statue Khmer. Accarezzando alcune parti di queste significa avere "good luck" nelle parti anatomiche corrispondenti. Concluso il giro il monaco ripete "donation for me" e via altri 3000 k. Prega appoggiando la testa sulle mani giunte poste sopra da una piccola statua che non sembra Buddha quanto un' altro spirito ripetendo tre volte "have a good journey, have a good time". Così via, in Taxi si ferma ad un antico tempio in legno poi a Mandalay hill, una serie di scale da percorrere scalzi fino ad una cima dalla quale si vede la città dall' alto. Oltre al Mandalay fort (fortino di fattura recente) circondato da un fossato quadrato e chilometrico, spicca il Mandalay hotel, orribile palazzone. Altre curiosità della zona sono i templi adiacenti alla collina, visitatene due o tre ne ho abbastanza e decido di tornare in hotel. Mi preparo per la serata e uscendo mi imbatto in quella che sarà la mia guida in Mandalay: il guidatore di risciò (saika = da "sidecar bycicle") Very Well. Un personaggio noto a tutti con questo soprannome anglofono. Pedalando verso un barbecue come da me richiesto (perchè tutti i ristoranti della 83 fanno abbastanza schifo, non per l' igiene, quanto per i piatti) incomincia a narrare di sè: <My ambition is to become an official guide>; il suo inglese è fluente e risponde con "yessir" alle mie frasi. La cosa mi da abbastanza fastidio, lo invito a non chiamarmi Sir e lo farò anche in futuro ma ribatte con un "Yessir. I' m trying to be polite". Finalmente arriviamo alla strada 50 (le vie non hanno nome ma numero) dove i ristoranti barbecue servono anche birre alla spina. Very well si allontana per "andare ad una tea house" ma quando torna e mi trova a bere birra "I confess I didn't drink tea but cognac". Lo invito a sedersi e col suo inglese corretto mi racconta cose del paese. I locali sono quasi tutti in mano ai cinesi anche se i lavoranti sono birmani. Come sua sorella per esempio che lavora in un negozio: riceve mensilmente la miseria di 2000 k ma la mantengono con vitto e alloggio (questo tipo di "contratto lavorativo" è abbastanza diffuso in tutto il sud est asiatico, anche se la paghetta in Birmania è ancora più una miseria). Tocchiamo i più svariati temi e Very Well si dimostra proprio un "personaggio" con la sua voce fra il rauco e il sibilante <Let me explain to you my friend . . .>. Mi viene da ridere quando illustra l' attività diffusa in tutta la Birmania di masticare noci di betel; mi spiega aprendo la bocca e mostrandomi due file di denti colorati di rosso che le noci contenute in una foglia di tabacco fresco "puliscono i denti" rendendoli "clean" come i suoi. Mi erudisce comunque su molte cose quali il carattere multietnico della Birmania. Gli shan per esempio (dello Stato shan che confina con lo Yunnan e la Thailandia nord-occidentale) chiamano se stessi Tai, la loro lingua è infatti molto simile al thai. Myanmar significa unità di popoli nella quale i birmani rappresentano la maggioranza ma ci sono anche i Mon, i Kachin e tutti i vari provenienti dal sub continente indiano nonchè soprattutto nel nord est i cinesi. Concludiamo la nostra serata in un baracchino a bere pi-hi, un liquore derivato dalla canna da zucchero solitamente servito con un soft drink perchè troppo da sparo. Nonostante Mandalay sia una grande città, come in tutto il paese si va a letto presto e così succede. Mi addormento e sogno una donna che vuole venire con me, vestita da ufficio con fare manageriale mi spiega i motivi e le ragioni della sua visita adducendo che sono incluso in una lista "perchè questa è la vita" e bla bla bla . . . . Il sogno rimane su questi toni pallosi finchè mi sveglio. E' fottutamente presto e perdo tempo a ri-sfogliare la guida.
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08 - 02 - 2005 |
In giro col saika Very Well non sa più cosa mostrarmi così mi chiede se può approfittarne: andiamo insieme a far riparare il suo saika, nel frattempo mi accomodo in una tea-house. Osservo le impalcature quasi filiformi di un cantiere fatte in bambù (altro che 626). Torna Very Well ed è già pi-hi time. <Let me explain to you my friend . . .>; ci sono vari tipi di bamboo, ognuno atto ad un impiego particolare. Il ragazzino che fa da cameriere ci continua a fissare prima di continuare ad occuparsi degli altri clienti. La terza volta che ordiniamo pi-hi mi chiede di fargli una foto. Non ha mai visto una usa e getta ed il mio ultimo scatto è per lui. Indossa una rozza giacca che rimanda alle memorie di una miseria che è stata anche italiana un tempo; mi ricorda i poveri delle novelle verghiane o alcune foto in bianco e nero dei fanciulli della seconda guerra. Very Well intanto mi propone di buttarmi "deep inside" la vita birmana. Prima di tutto una visita ai suoi affittuari di saika, una famiglia cinese o shan con due figlie non gemelle ma identiche. Mi fanno accomodare su una sdraio in un piccolo "patio" dove c' è anche un cane chiuso in una gabbia. La famiglia vive in una sorta di baraccopoli "pulita". Very Well parlotta con "the boss", la madre delle due giovani mentre la nonna e le due figlie mi guardano dall' interno di quella casa in lamiera accennando sorrisi che si dischiudono completamente solo quando tolgo gli occhiali da sole. Ci congediamo dirigendoci verso la casa di un amico di Very Well: il tatuatore. Vive in una casa in muratura la cui veranda soprastante è la vera e propria abitazione mentre sotto c' è un cesso nascosto nel sottoscala, una cucina e l' ampia stanza di ingresso adibita a classe scolastica con tanto di lavagna. Il cortile è invece un' officina meccanica. Il tatuatore ha due figli da una carinissima moglie i cui diplomi e foto tappezzano tutta la casa. Il bimbo e la bimba sono timidi. La madre di lei invece è un' anziana signora che corre subito in cucina a friggere dei tondi di barracuda da offrirci. Sembrano abituati alle incursioni alcoliche di Very Well. Tutti insistono perché la moglie del tatuatore conversi con me per provare il suo inglese. Mi si siede accanto: è bellissima (non nel senso che è una modella, concezione "anoressica" del nostro inprinting da magazine): il viso tondo e le guance piene, un sobrio rossetto e i capelli raccolti all' indietro sopra due grandi occhi neri in cui tratti mongoli si perdono in una languida componente indiana. Intuisco un certo disagio che interpreto come "timore che siano arrivati due ubriaconi a turbare la quiete domestica" e la rassicuro che farò di tutto per togliere il disturbo al più presto. Mi risponde che è turbata solo perché timida (<I' m shy>) al che mi aggrappo a domandare il perché di quei banchi e la lavagna. Mi risponde che si tratta di un progetto scolastico privato al quale partecipa anche uno scozzese di cui mi mostra le foto. Lui insegnerà inglese e lei fisica (è laureata in fisica). Terminata la conversazione rimaniamo solo noi uomini. Il pi-hi finisce e vengo lasciato lì su una panca mentre Very Well e il suo amico vanno ad acquistarne altro. L' unica persona che passa è un' indiana, <Namaste>, <Namaste>; è la vicina di casa il cui marito ha un altro cortile-officina ma senza cesso. Quando i due tornano si sale al piano superiore dove c'è il tatoo studio. Very Well è vistosamente ubriaco e continua a muoversi mentre l' abile amico gli colora di rosa-fuxia un precedente tracciato di fiore di loto sul braccio. Finito il tatoo di Very Well tutti insistono perché ne faccia uno anch' io, anche piccolo a gratis. Una cosa improponibile, l' unica garanzia: un cambio di ago. Porto come scusa il discorso pari/dispari per cui per non avere "bad luck" dovrei farmene due per andare in dispari e ci devo pensare bene su cosa fare. Finito di scorrere il pi-hi la mia guida si addormenta sul pavimento per più di un' ora. Il tatuatore tira fuori una chitarra scassata, suona un pò poi me la porge; smanetto per quello che riesco dopodiché ne tira fuori un' altra concludendo in una cacofonia di strumenti non accordabili fino a quando riprendiamo Very Well che realizzato l' orario rammenta che è ora di correre ai piedi della Mandalay hill per una festa birmana: un pwe. A metà strada l' anziana signora ci raggiunge in bici portando un oggetto smarrito dal mio autista e un pacco di biscotti. Veramente gentile. Arriviamo troppo tardi, stanno già sbaraccando tutto. Ci sediamo allora in un bar dove con le birre ci portano in omaggio anche una scodella di zuppa. Un altro personaggio che si siede per poco da noi ci invita ad un' altra zuppa presso il tempio adiacente offerta da sua moglie che con un pentolone la distribuisce grazie alle donazioni ricevute per il festival della zona. Durante tutte le pause birrette che facciamo Very Well viene salutato da molti conoscenti; sedutici nell' ultimo posto comincia ad illustrarmi carta e penna una sua invenzione grazie alla quale potrebbe diventare un uomo ricco. Si tratta di una culla a movimento orizzontale che ricorda gli esperimenti meccanici sul moto perpetuo. Discutiamo a lungo su questa cosa e su altre quali "la penna che spara proiettili - e ci tiene a sottolineare - non per uccidere ma per addormentare" (suona molto buddista quest' arma). E' presto per andare a dormire così Very Well lancia l' idea di andare ad un karaoke e cambiatosi il longy ci dirigiamo sul lato opposto di Mandalay fort. Andiamo ancora a birre, il locale è piccolo e affollato. Very Well si iscrive alla lista per cantare 3 brani sul tradizionale. La clientela è giovane e la maggior parte delle ragazze sono vestite come delle pros. Quando ci accomodiamo davanti allo schermo siamo involontariamente allo stesso tavolo di altri quettro tipi. Uno di loro mi chiede due sigarette, gliele porgo e me le restituisce in segno di sfida pochi minuti più tardi e quando Very Well comincia a cantare due di quegli stronzi gli lanciano palline di carta, gli tirano manate e via dicendo. Intuisco in loro una forte voglia di litigare al che pago alla cassa per poi andarcene. Il gestore mi implora di rimanere ma non posso, mi verrebbe da reagire. Allora "see you tomorrow". La sfida è comunque aperta e quando siamo fuori dal locale il truzzo continua a sbraitare facendo finta di essere trattenuto. Purtroppo al mondo gli stronzi ci sono ovunque e tutti in questa modalità tipo i nostri truzzi, tutti cazzoni alla stessa maniera, noiosamente tutti uguali con quel cazzo di cappellino da baseball. L' assurdo del mondo è che è sempre diverso quanto uguale. Così anche in Birmania come nella periferia di Milano e ovunque potreste imbattervi in teste di cazzo tali, in questo caso gli mancava solo lo scooter. Torniamo per chiudere in
tristezza la serata al locale finale della sera precedente. Stavolta
non riesco a finire il pi-hi. Me ne vado a letto e dormo fino
a quando un incubo mi sveglia: in un clima scherzoso e adolescenziale
mi avviavo in cantina a prendere il motorino con un amico che ad un
certo punto scompare e al suo posto vedo una figura aliena: <chi
sei?> <chi sei?>, cerco di gridare ma non riesco, rimango
intrappolato in quello stato di semi coscienza finché riesco
a gridare e mi sveglio nell' hotel di Mandalay. |
09 - 02 - 2005 |
Oltre il ponte Sono di nuovo in strada a piedi, non vedo Very Well, mi dirigo camminando qualche isolato più in là e arriva verso di me un altro guidatore di risciò che mi punta e attacca a volermi portare in giro. Il tizio si chiama Challu, un tipo dall' aspetto molto caratteristico, sembra uscito dai fumetti di Corto Maltese: viso stagliato, magro e teso, imberbe con pochi peli fatti crescere a dismisura (perché è "bad luck" tagliarli). Challu ha 36 anni, 4 figli e una moglie. Si esercita periodicamente nella meditazione perché fino a 35 anni uno può "rubare, imbrogliare, uccidere", cose che comportano una peggiore reincarnazione ma dopo i 35 c' è anche l' inferno. Mi racconta questa e altre cose mentre mastica e sputa il betel su una carta di giornale appositamente lì posta da un cameriere. Challu mi mostra il monastero in cui medita, mi aspetta fuori e mi invita a "take my time" senza fretta perché nessuno mi verrà a disturbare. Indugio scalzo in una pagoda in ték di 200 anni "now repairing". Merletti tipici dell' architettura birmana, una sorta di mistico chalet, tutto intarsiato, prezioso gioiello in decadenza come ce ne sono a migliaia in Myanmar. Non ho foto da fare, rimango in silenzio per qualche minuto davanti al grande budda centrale dorato. Esco e trovo Challu ad aspettarmi. Andiamo di nuovo al riverside e decidiamo che va bene sul chiamare un suo amico con la macchina per andare nei dintorni di Mandalay in direzione Mingun. Se c' è un motivo per venire a Mandalay è andare in questa località. Non ho modo qui di citare pagode in particolare quanto il tutto: un altro mondo. Challu viene con noi e i due mi aspettano con la macchina fuori da ogni uscita mentre bazzico tra queste meraviglie colorate. Specialmente verso il tramonto i colori tutti si accendono di una carica più intensa, rimpiango di non avere la macchina fotografica appresso ma al contempo la cosa non mi turba più di tanto, mi sento appagato di questa contemplazione specie sul tardare quando tutti i gruppi turistici non sono più presenti. Godo di questi attimi fino a quando non è tempo anche per noi di andare e così l' auto serpeggia veloce per le discese fra tuniche arancioni e rosa e dopo il ponte rieccoci a Mandalay. La sera andrò a letto presto. Ho la sveglia alle quattro e mezza.
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10 - 02 - 2005 |
Verso Bagan Paul è in giro da mesi e per mesi starà ancora in Asia. Le tipe tedesche sono delle quarantenni e il tipo birmano avrà si e no 25 anni. La vendita delle tovaglie continua, è come un gioco per quelle donne insistere, parlare inglese, se uno non vuole comprare si attaccano a tutto, propongono baratti con rossetti, penne, cicche; cercano profumi, shampi e roba del genere. A parte un paio di anziane le ragazze che vendono hanno volti incantevoli, mi scappa un <che bella!> davanti a una che poi non cesserà di insistere particolarmente con me per l' acquisto. Il viaggio è molto lungo, pian piano si forma un gruppetto al "bar" del barcone in cui David, australiano che indossa un longy arancione, tiene banco. Arriviamo a Nyu col buio e dei ragazzi col saika portano nello stesso hotel me, David e Paul. Tutti ridono perchè il longy di David è da donna. Ci ritroviamo in questo trio anche a cena. Niyu e New Bagan sono le cittadelle più vicine a Old Bagan: una gran fetta di territorio pieno di pagode di ogni epoca. Solo dopo un pò di ore fra cena e post cena riesco ad afferrare quasi nella completezza le frasi nell' inglese australiano di David. Il modo in cui usa gli aggettivi è squisito. Non può non tenere banco un personaggio del genere. Ci promettiamo tutti di vederci l' indomani per l' escursione alle rovine.
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11 - 02 - 2005 |
Con l' "oscar"
per la vecchia Bagan Ci fermiamo alla prima struttura e un gentile signore ci mostra gli affreschi all' interno con una torcia indicandoci ora un volto di Buddha altre un passaggio troppo stretto (<mind your head>) e arriviamo infine sul tetto. Si rivela all' orizzonte sopra una leggera foschia una gran serie di cupole ora dorate ora no, un panorama molto suggestivo. In questo clima di ammirazione esplode poi l' uomo con la torcia che così dal nulla comincia ad esclamare <Mi tah-tah evry nai ! Mi tah-tah evry nai !> accompagnando le parole ad un gesto inequivocabilmente scurrile e con risate che irrompono in quel silenzio serafico; fino al momento di uscire continua su questi toni elogiando la propria resistenza che gli permette di avere cinque rapporti consecutivi ogni notte battendo trivialmente il pugno sul palmo aperto dell' altra mano. Alla fine ci mostra le sue pitture su tela partendo da una cifra spropositata (20.000 K). Contratto al di sotto della metà e infine acquisto un Bodhisvatta. Arriva nel frattempo un tipo latino, argentino o che altro e con fare saccente accende un' "arrogante sigaretta" , con l' aria <what's goin' on here guys ?> comincia a sentenziare contro il venditore tipo <you think we are all fools>; terminando la sua filippica con un: <no me gusta esta manera de mercantar>. Fanculo a lui ! Ce ne andiamo per altri templi e pagode. Ad ogni entrata è vietato indossare scarpe e calze. Sicuramente la scelta dell' oscar è la più azzeccata. Il nostro cocchiere sa già le strade per vedere i posti principali senza che ci perdiamo in giro come fanno quasi tutti i "ciclisti" che vediamo ansimare scoppiati sotto il sole. Nel tempio di Ananda gli enormi Buddha in piedi hanno gli occhi rivolti verso il basso, queste ed altre particolarità (l' espressione facciale per esempio cambia a seconda del punto di osservazione) fanno di questa zona un tesoro artistico di vari stili unici in tutta la Birmania. Come Angkor in Cambogia e altri pochi luoghi archeologici Bagan è un must fra le meraviglie del mondo. Lo è così tanto che in un posto che visitiamo dove stanno delle bancarelle non riesco a trattenermi dall' acquistare una macchina fotografica: si rivelerà molto scarsa, riesce a mettere a fuoco solo alla distanza di un metro, di fabbricazione cinese e scommetto esclusivamente destinata all' esportazione verso il Myanmar (o tutt' al più anche a Cambogia, India e Bangladesh). . . Così fra pagode e monasteri si fa l' ora del tramonto e sono un paio di grandi pagode i punti di osservazione sulle quali tutti si arrampicano per fare gli ultimi scatti. Arriviamo un pò in anticipo grazie a Rambo e al conduttore che sulla via ci ha mostrato anche la sua nicchia peccaminosa ("The japanese bumpkin pagoda"). Oltre a noi su questa sorta di piramide c' è un gran fotografo del National Geographic che tra un <God damn!> e un <more dust !!!> (gente di giù provocava la polvere battendo il terreno) riesce a trovare l' attimo di giusta luce per inquadrare un orizzonte disteso con tanto di nebbia artificiale. Presto il posto si popola di anziani, di giapponesi, cinesi e gli immancabili bambini birmani che vendono le cartoline. E' uno scattare di foto generale, tutti con macchine da ripresa e camere digitali e io con la mia da quarto mondo. <Oi chi Oi chi !> e Rambo ci riporta all' hotel. Sono proprio "juvenile" molti giovani birmani. Il loro modo di scherzare fa spesso allusioni alla sfera. Non scendo nei dettagli poi per i gesti e le poche parole italiane imparate dai giovani dell' albergo. Assaltando un ristorante con barbecue quella sera reincontreremo altri due tipi che c' erano sul battello. Finiamo le Myanmar beer del frigo e <fuck it!> vada per la Mandalay beer.
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12 - 02 - 2005 |
Monte Popa C' è un' escursione
da fare a 60 km da Bagan, è il monte Popa. Monte sacro, per
raggiungerne la vetta occorre percorrere un 10 - 20 minuti di scalini.
E' la residenza prediletta dei Nat e di molte scimmie. David procede
come uno stambecco, Paul sale pur con qualche pausa; io invece "sciupà"
(scoppiato), sento tutto il peso delle saure che mi fumo nonché
dell' età e del peso in aumento . . . Il panorama merita. Tutti
gli altari manifestano il sincretismo religioso tra l' istituzionale
buddismo e l' inestirpabile animismo naturalista. Per far trionfare
il buddismo nei secoli passati lo si è adattato a queste credenze
facendo passare il Buddha per il "capo dei Nat", spiriti
noti a tutti i birmani che vengono evocati ogni anno nei festival
dei Nat a base di musiche ossessive, estasi alcoliche e invasamento.
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13 - 02 - 2005 |
Verso Yangon David parte, io e Paul attendiamo nel pomeriggio il nostro bus per Yangon sul quale re-incontriamo un altro della sera prima (sembra inevitabile re-incontrare le stesse persone in Birmania, il giro che tutti fanno almeno la prima volta è sempre lo stesso, di solito includendo anche il Lago Inlé che io ho tralasciato). I posti sono numerati e capito vicino ad un' alta ragazza cinese. Ci sono anche pezzi di strada non asfaltata e arriviamo nella capitale all' alba poi col taxi in zona Sule Paya per l' alloggio. Sempre lo stesso: il May Shan hotel.
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14 - 02 - 2005 |
Ancora a Yangon
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15 - 02 - 2005 |
Yangon Con il buio le corone a luci intermittenti dei Buddha sono molto più appariscenti. Giro intorno alla grande pagoda già popolatissima e visto l' orario non ho pagato il biglietto come non lo pagano tutti i birmani. Per andare alla Schwedagon e per tornare verso l' hotel faccio la strada a tastoni: non c' è una grande illuminazione stradale. Quando rientro svegliando la sorvegliante per farmi aprire divento "quello che è tornato a dormire alle sette del mattino". Mi faccio una lunga pennichella poi decido nel pomeriggio di acquistare un biglietto per qualche spiaggia. E' fatta. L' indomani partirò per Choungda Beach: una tranquilla spiaggia a qualche ora di bus. Ho provato nel frattempo a cercare qualche libro nei negozi ma sono cari; ho cercato anche di fare shopping al market ma non mi interessava nulla (solo orefici, giada birmana, magliette, tessuti e cose troppo belle quanto ingombranti o troppo delicate per essere trasportate).
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16 - 02 - 2005 |
Verso Choungda beach Alle 5 sono già
in strada. Mi aspetta U Mynt Shwe con cui mi ero accordato la sera
prima. Chiedo a U Mynt perché il suo amico mi aveva rifiutato
il taxi passandomi a lui. <Bicos hi cannot weik ap ali> (Perché
non si può alzare presto). La stazione è a 40 minuti
di strada, per questo ho dovuto accordarmi con un taxista, non tutti
ci vogliono andare specie al mattino presto.
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17- 02 - 2005 |
Choungda beach Un giorno o due sono infatti più che sufficienti. Spendo l' intera giornata macinando a piedi chilometri di sabbia. Al mattino in direzione sud dove la mezzaluna di arena si chiude affacciandosi ad un isolotto, il pomeriggio a nord in posti più deserti, su di una spiaggia ho incontrato solo un cane. Durante la camminata del mattino ero stato puntato da un giovane indiano che invitava la gente al ristorante Willians (sì con la n non la m). Ho visto il menu e ci sarei tornato ma intanto mi sono fermato a riposarmi al che il giovane ed un altro cameriere si sono seduti al mio tavolo insistendo perché prendessi appunti su alcune frasi basilari in birmano. Alla sera comunque sono
tornato al Willians con un inglese già incontrato per caso
altrove. Volevamo concludere a biliardo e birra ma alle dieci e mezza
<il bar è chiuso ma se volete dell' acqua ve la possiamo
dare>. Niente da fare. |
18 - 02 - 2005 |
Rientro a Yangon Il viaggio di ritorno fila liscio. Finisco per conoscere un tedesco che mi aveva detto che potevo tranquillamente fumare sul bus. Il tipo, sulla cinquantina, porta un cappello di paglia e accanto una bellissima donna locale. Ogni tanto le parla in birmano mentre lei mastica una materia pastosa impacchettata in plastica aderente. Lui è Volkser, giardiniere tedesco che soggiorna ogni anno per mesi nel sud est asiatico e specie in Birmania dove questa giovane fidanza lo segue. Si portano appresso una casa o quasi. Volkser non si è riuscito a trattenere dal tagliare qualche canna di bamboo sulla spiaggia da usare per chissà cosa, forse per ingombrare allegramente il pazzo bus sulla via di Bagan. Elogia la Myanmar alla spina e lancia anatemi contro la spudoratezza di certe turiste che si mettono il topless a Ngapali Beach. Il personaggio ha fatto la comparsa in un video musicale locale, è profondo conoscitore di cose birmane e gli piacerebbe aprire una scuola di tedesco perché nel 2004 l' 80% dei visitatori viene dalla Germania. Lo perdo di vista con la sua carovana di roba quando arrivati a Yangon nel primo pomeriggio mi precipito su un taxi con un giovane che va a manetta, sorpassi a destra, sgommate e azzardi varii per arrivare al May Shan. "E' tornato quello
che è tornato alle sette di mattina" e li rassicuro che
andrò a letto presto la sera perché <tumollo liv>.
Yangon è comunque una città affascinante, bazzico ancora
un pò in giro. Dietro al Sule Paya c' è un parco e alcune
sedi governative, verso sera cominciano ad esserci dei tratti di strada
chiusi da transenne con filo spinato; all' imbrunire le tea-houses
sono piene di gente, un crescendo di vita che si spegne presto, al
massimo alle dieci, undici di sera per poi riversarsi progressivamente
sulle strade prima dell' alba a luci spente. |
19 - 02 - 2005 |
Partenza |